Il Sole 24Ore – Plus 5.01.2008
di Riccardo Cesari * e Pietro De Rossi **
Analisi. L'incidenza delle commissioni
Grazie a una legislazione e a una normativa secondaria particolarmente attente alle esigenze degli aderenti, i fondi pensione sono, da tempo, uno degli strumenti più trasparenti disponibili sul mercato previdenziale. In particolare, la nota informativa che ciascun fondo rende disponibile sul proprio sito Internet, contiene tutti gli elementi essenziali per conoscere e confrontare i vari fondi pensione. Il tema dei costi, in particolare, ci sembra di estremo interesse anche per suggerire opportune politiche di sviluppo del settore. Se osserviamo in particolare i fondi pensione negoziali, i costi sostenuti nel corso dell'anno si distinguono in costi per la gestione amministrativa e costi per la gestione finanziaria (incluse le commissioni per la banca depositaria). Con riferimento ai principali fondi negoziali (comparto bilanciato), con un patrimonio complessivo a fine 2006 di oltre 5 miliardi di euro su 9,3 miliardi totali, si ricava, dai dati pubblicati, un rapporto costi/ patrimonio (Total expenses ratio, Ter, ottenuto come media semplice dei singoli fondi) pari a 0,59%, di cui 0,42% per oneri amministrativi e 0,17% per oneri finanziari. Mentre la componente finanziaria é tipicamente proporzionale al patrimonio, con effetti di scala molto contenuti, la componente amministrativa contiene costi fissi (ad esempio sede e personale) o costi variabili, pro capite, col numero di aderenti (ad esempio i costi di service amministrativo), che possono presentare ampi margini di riduzione al crescere delle masse in gestione. Il grafico in pagina mostra la forte riduzione dei costi amministrativi che si riscontra nei comparti bilanciati dei due più grandi fondi pensione negoziali, Cometa (0,22%) e Fonchim (0,20%), con rispettivamente 2,4 e 1,4 miliardi di euro in gestione a fine 2006.
Negli altri fondi, che hanno una dimensione media di circa 124 milioni di euro, il rapporto oneri amministrativi su patrimonio é più che doppio, 0,46%.
Da questi numeri, é facile calcolare la dimensione delle economie di scala che si verrebbero a creare accorpando tante piccole entità in pochi grandi fondi pensione.
Nell'arco di 30 anni, se si partisse da un unico grande fondo con 1 miliardo di patrimonio iniziale invece di 10 piccoli fondi con 100 milioni (iniziali) cadauno, il minor costo per gli aderenti, percepito (ceteris paribus) sotto forma di maggiori rendimenti netti, sarebbe dell'ordine di 1,2 miliardi di euro, con una crescita del montante previdenziale finale e della rendita pensionistica stimabile intorno al 5%. Questa evidenza può essere utile per spingere le parti istitutive dei fondi ma anche le Autorità, il Legislatore e il Governo a svolgere un'efficace azione persuasiva e incentivante a favore dell'accorpamento tra fondi, esistenti e nascituri. Per questi ultimi, un pronto banco di prova si ha nel caso dei fondi per i pubblici dipendenti. A fronte di una platea potenziale di 3,4 milioni di lavoratori, è stato già costituito il Fondo Espero, per i dipendenti della Scuola (1,1 milioni di potenziali aderenti) e il Fondo per i dipendenti di Regioni, Enti locali e Sanità (1,3 milioni di lavoratori). Resta scoperto circa un altro milione di dipendenti pubblici (ministeri, università, magistratura, enti vari, polizia e forze armate eccetera) per i quali, nonostante la numerosità delle sigle di appartenenza, sarebbe auspicabile costituire un unico fondo pensione, capace, almeno potenzialmente, di far beneficiare i lavoratori aderenti delle ampie economie di scala disponibili. Grandi fondi significa governance societaria e mercati finanziari più efficienti ma soprattutto maggiori rendite pensionistiche.
* Università di Bologna ** Presidente Fon.Te